sfavolare: voler stare dalla parte di chi è facile vittima e voler sconvolgere lo status quo: un bellissimo lupo grigio, catturato con un'astuzia da una brutta vecchiarda e da sua nipote, avrebbe fatto davvero una brutta fine se non fosse accorso in suo aiuto un ex cacciatore pentito, ormai ecologista, naturalista, animalista.
giovedì 25 ottobre 2012
sabato 22 settembre 2012
mercoledì 1 agosto 2012
Metallica - Until it sleeps
Where do I take this pain of mine
I run but it stays right by my side
So tear me open and pour me out
There's things inside that scream and shout
And the pain still hates me
So hold me until it sleeps
Just like the curse, just like the stray
You feed it once and now it stays
Now it stays
So tear me open but beware
There's things inside without a care
And the dirt still stains me
So wash me until I'm clean
It grips you so hold me
It stains you so hold me
It hates you so hold me
It holds you so hold me
Until it sleeps
So tell me why you've chosen me
Don't want your grip, don't want your greed
Don't want it
I'll tear me open make you gone
No more can you hurt anyone
And the fear still shakes me
So hold me, until it sleeps
It grips you so hold me
It stains you so hold me
It hates you so hold me
It holds you, holds you, holds you
until it sleeps
I don't want it, I don't want it, want it, want it, want it, want it, noo..
So tear me open but beware
There's things inside without a care
And the dirt still stains me
So wash me 'till I'm clean
I'll tear me open make you gone
No longer will you hurt anyone
And the hate still shames me
So hold me
until it sleep
I run but it stays right by my side
So tear me open and pour me out
There's things inside that scream and shout
And the pain still hates me
So hold me until it sleeps
Just like the curse, just like the stray
You feed it once and now it stays
Now it stays
So tear me open but beware
There's things inside without a care
And the dirt still stains me
So wash me until I'm clean
It grips you so hold me
It stains you so hold me
It hates you so hold me
It holds you so hold me
Until it sleeps
So tell me why you've chosen me
Don't want your grip, don't want your greed
Don't want it
I'll tear me open make you gone
No more can you hurt anyone
And the fear still shakes me
So hold me, until it sleeps
It grips you so hold me
It stains you so hold me
It hates you so hold me
It holds you, holds you, holds you
until it sleeps
I don't want it, I don't want it, want it, want it, want it, want it, noo..
So tear me open but beware
There's things inside without a care
And the dirt still stains me
So wash me 'till I'm clean
I'll tear me open make you gone
No longer will you hurt anyone
And the hate still shames me
So hold me
until it sleep
mercoledì 4 luglio 2012
Affittasi Acropoli di Soti Triantafillo su LEFT
http://www.left.it/2012/06/29/affittasi-acropoli/4781/
Affittasi Acropoli
di Soti Triantafillou
Viaggio nella
Grecia dei teatri antichi e dei siti svenduti a poco prezzo. Come
location per spot. La crisi picchia duro. Ridotti al minimo
i finanziamenti per il ministero della Cultura. E non ci sono soldi per
la tutela. Tanto meno per la valorizzazione. L’associazione nazionale
degli archeologi greci lancia un grido di allarme
La crisi in Grecia ha cause diverse che nel resto dell’Europa. Qui c’è uno stato social-burocratico gigantesco affetto da clientelismo e favoritismi, i retaggi storici della dominazione ottomana. La crisi è sì economica, debitoria, creditizia, ma soprattutto è crisi istituzionale, strutturale e di valori. Malgrado ciò, contrariamente a quanto si dice in Europa, la cultura greca è viva. E la vita continua e trionfa: ad Atene ci sono più di cento teatri, i cinema all’aperto sono pieni e d’estate i musei restano aperti tutta la notte… Fuori dal centro di Atene, ridotto a grande ghetto degradato, la crisi è ancora un fantasma. Siamo un Paese che si fa prendere dai ritmi dell’estate: quando cominciano le gite al mare dimentichiamo tutti i nostri guai. Chi pensa che la Grecia appaia devastata dalla crisi, rimarrebbe stupefatto dalle nostre notti, le ore piccole e tanto caffè freddo shakerato. Ma le misure di austerità, in realtà, hanno ripercussioni serie sulla tutela e la valorizzazione dei siti archeologici, che sono parte integrante della nostra identità nazionale e del nostro patrimonio oltre che fonte di ricchezza per la Grecia.
Però, in periodi di crisi e di declino, avvengono sempre “cose pazze”: a febbraio sono stati rubati reperti dal museo di Olimpia; archeologi esperti sono stati costretti al pensionamento; l’orario di apertura di siti e musei greci è stato ridotto per i tagli alla spesa pubblica. E intanto, i depositi e i sotterranei dei musei sono pieni di reperti in attesa di essere valutati ed esposti. La sola costruzione della metropolitana di Atene e i lavori per quella di Salonicco hanno portato alla luce una pletora di nuovi reperti; senza contare gli scavi che nonostante i ritardi, non si sono mai arrestati.
L’esempio più “spettacolare” degli ultimi anni (per totale mancanza di politica locale) è il museo archeologico di Atene, che per sua sfortuna si trova in una zona di traffico di droga, prostituzione e criminalità. Per arrivare indenni al museo bisogna evitare spacciatori e tossici. Questa grave situazione, dovuta a molteplici fattori, richiederebbe nuove politiche di ripristino della legalità e dell’ordine. Il sindaco di Atene appare sempre più stanco nelle foto sui giornali, invecchiato di dieci anni nell’affrontare in assoluta solitudine problemi insolubili. Per reperire fondi per la manutenzione dei siti archeologici da qualche settimana è stato deciso che troupe straniere, società pubblicitarie e altre aziende possano fotografare persino i capolavori dell’epoca di Pericle risalenti al V secolo a.C., come il Partenone. Nella speranza che aiuti a rimpinguare le casse pubbliche e dia immagine al nostro Paese all’estero. Tesori archeologici come il sito di Delfi, il secondo nelle mete turistiche dopo l’Acropoli, diventerà una location foto-cinematografica in cambio di compensi ridicoli che non superano i 1.600 euro al giorno. È facile capire che ci siamo impoveriti terribilmente e che sconti e svendite sono cominciati. Forse in questa fase è necessario. Ma almeno ci dovrebbero essere dei controlli. Ma si sa noi Greci… siamo asini quanto a “controllo”…
La verità è che i nostri capolavori classici non sono stati valorizzati abbastanza. A causa della burocrazia, della grettezza, della sterile sacralità attribuita all’antica cultura greca. Ci sono state delle eccezioni, è vero, ma di cattivo gusto estetico, senza rispetto per i siti: quando ero piccola, nell’antico teatro di Erode Attico si organizzavano concorsi di bellezza, bombe sexy ossigenate sfilavano in bikini nell’atmosfera mistica del II secolo d.C. Prima della recente decisione del ministero della Cultura, il Consiglio archeologico centrale, uno dei più potenti organi dello Stato, aveva sempre negato l’accesso ai siti archeologici per scopi che non fossero la ricerca scientifica. Non erano ammesse riprese, se non in casi eccezionali e a cifre astronomiche. Nonostante il supposto “demone greco”, l’imprenditorialità non è mai stata incoraggiata: siamo un Paese abituato al sostentamento statale e lo “Stato” oggi non valorizza lo splendido passato che aleggia tra noi. Nei suoi 2.500 anni di storia, l’Acropoli è stata concessa come location solo due volte: una per Francis Ford Coppola e una per Nia Vardalos (la regista del film Il mio grosso grasso matrimonio greco), che ci ha girato Le mie grosse grasse vacanze greche. Nel 2009 Vardalos disse che aveva speso «moltissima energia e tempo» per convincere le autorità che le riprese sarebbero state un beneficio per il Paese. Anche se a mio avviso, poi, non hanno giovato molto visto che entrambi i film di Vandalos sono per idioti. Ma se cambiasse la nostra mentalità, forse sullo sfondo dei siti archeologici greci si girerebbero film migliori.
Il ministero della Cultura sopravvive con solo lo 0.7 per cento del bilancio nazionale. Se a questa percentuale scandalosa si aggiungono le spese per cattiva gestione, ci troviamo in impasse e allo stesso tempo davanti a un miracolo. Nonostante difficoltà insormontabili, la vita culturale, come si diceva, non manca. I problemi però si accumulano: la mancanza di fondi per esempio, ha portato a rimandare continuamente la costruzione di un nuovo accesso al sito di Delfi (che infine è iniziata qualche giorno fa). Si suppone che le entrate frutto dei permessi di accesso ai siti saranno usate dal ministero che dal 2010 si è visto ridurre i finanziamenti del 32 per cento.
È passato molto tempo dalla discussione pubblica per il rientro in patria delle sculture del Partenone: oggi manca il personale, molti musei sono chiusi e molti archeologi sono degradati a burocrati o sono disoccupati. L’Associazione degli archeologi cerca di reagire con il motto «I monumenti non hanno voce. Tu sì» denunciando la sottovalutazione della loro professionalità, dacché sono costretti a occuparsi quasi solo di aspetti burocratici e di sopralluoghi nei cantieri dove potrebbero esserci reperti. Negli ultimi decenni peraltro il settore edile è precipitato e gli archeologi si dedicano sempre più a scavi di salvataggio ma senza avere tempo e modo per rendere pubblici i ritrovamenti.
A questo punto bisogna almeno dare la giusta collocazione agli archeologi in servizio e dare loro la possibilità di fare il proprio lavoro. Il problema non è certo la “pigrizia”: in Grecia si scava in modo affannoso, si trovano e si accumulano oggetti. La quantità è tale che, come dicono alcuni archeologi disperati, si cade nella tentazione di sotterrarli di nuovo. Ovunque si apra una fossa, si trovano reperti: ci sono 19mila siti archeologici e monumenti, 210 musei archeologici. Che necessitano di manutenzione e di ammodernamento. A Citera, dopo che l’archeologo locale Aris Tsaravopoulos è andato in pensione nessun altro della Sovrintendenza è mai andato sull’isola, e il signor Tsaravopoulos non ha potuto procedere al pieno salvataggio dei reperti quando una tempesta ha portato alla luce una moltitudine di vasi minoici del II millennio a.C. Una parte è stata trascinata in mare dalla pioggia e al prossimo temporale non rimarrà più niente. Così o ci si strugge per l’assenza di interventi statali o si è risucchiati dal sistema perdendo ogni spirito di iniziativa e creatività. Urge una nuova cultura, anche fra gli esperti e i cittadini: la Grecia è impensabile senza la sua storia, senza quei marmi che non arrugginiscono. Per salvarci dalla catastrofe dobbiamo salvarci dall’abbandono e dall’oblio.
(Traduzione dal greco di Giuseppina Dilillo)
left 26 - 30 giugno 2012
La crisi in Grecia ha cause diverse che nel resto dell’Europa. Qui c’è uno stato social-burocratico gigantesco affetto da clientelismo e favoritismi, i retaggi storici della dominazione ottomana. La crisi è sì economica, debitoria, creditizia, ma soprattutto è crisi istituzionale, strutturale e di valori. Malgrado ciò, contrariamente a quanto si dice in Europa, la cultura greca è viva. E la vita continua e trionfa: ad Atene ci sono più di cento teatri, i cinema all’aperto sono pieni e d’estate i musei restano aperti tutta la notte… Fuori dal centro di Atene, ridotto a grande ghetto degradato, la crisi è ancora un fantasma. Siamo un Paese che si fa prendere dai ritmi dell’estate: quando cominciano le gite al mare dimentichiamo tutti i nostri guai. Chi pensa che la Grecia appaia devastata dalla crisi, rimarrebbe stupefatto dalle nostre notti, le ore piccole e tanto caffè freddo shakerato. Ma le misure di austerità, in realtà, hanno ripercussioni serie sulla tutela e la valorizzazione dei siti archeologici, che sono parte integrante della nostra identità nazionale e del nostro patrimonio oltre che fonte di ricchezza per la Grecia.
Però, in periodi di crisi e di declino, avvengono sempre “cose pazze”: a febbraio sono stati rubati reperti dal museo di Olimpia; archeologi esperti sono stati costretti al pensionamento; l’orario di apertura di siti e musei greci è stato ridotto per i tagli alla spesa pubblica. E intanto, i depositi e i sotterranei dei musei sono pieni di reperti in attesa di essere valutati ed esposti. La sola costruzione della metropolitana di Atene e i lavori per quella di Salonicco hanno portato alla luce una pletora di nuovi reperti; senza contare gli scavi che nonostante i ritardi, non si sono mai arrestati.
L’esempio più “spettacolare” degli ultimi anni (per totale mancanza di politica locale) è il museo archeologico di Atene, che per sua sfortuna si trova in una zona di traffico di droga, prostituzione e criminalità. Per arrivare indenni al museo bisogna evitare spacciatori e tossici. Questa grave situazione, dovuta a molteplici fattori, richiederebbe nuove politiche di ripristino della legalità e dell’ordine. Il sindaco di Atene appare sempre più stanco nelle foto sui giornali, invecchiato di dieci anni nell’affrontare in assoluta solitudine problemi insolubili. Per reperire fondi per la manutenzione dei siti archeologici da qualche settimana è stato deciso che troupe straniere, società pubblicitarie e altre aziende possano fotografare persino i capolavori dell’epoca di Pericle risalenti al V secolo a.C., come il Partenone. Nella speranza che aiuti a rimpinguare le casse pubbliche e dia immagine al nostro Paese all’estero. Tesori archeologici come il sito di Delfi, il secondo nelle mete turistiche dopo l’Acropoli, diventerà una location foto-cinematografica in cambio di compensi ridicoli che non superano i 1.600 euro al giorno. È facile capire che ci siamo impoveriti terribilmente e che sconti e svendite sono cominciati. Forse in questa fase è necessario. Ma almeno ci dovrebbero essere dei controlli. Ma si sa noi Greci… siamo asini quanto a “controllo”…
La verità è che i nostri capolavori classici non sono stati valorizzati abbastanza. A causa della burocrazia, della grettezza, della sterile sacralità attribuita all’antica cultura greca. Ci sono state delle eccezioni, è vero, ma di cattivo gusto estetico, senza rispetto per i siti: quando ero piccola, nell’antico teatro di Erode Attico si organizzavano concorsi di bellezza, bombe sexy ossigenate sfilavano in bikini nell’atmosfera mistica del II secolo d.C. Prima della recente decisione del ministero della Cultura, il Consiglio archeologico centrale, uno dei più potenti organi dello Stato, aveva sempre negato l’accesso ai siti archeologici per scopi che non fossero la ricerca scientifica. Non erano ammesse riprese, se non in casi eccezionali e a cifre astronomiche. Nonostante il supposto “demone greco”, l’imprenditorialità non è mai stata incoraggiata: siamo un Paese abituato al sostentamento statale e lo “Stato” oggi non valorizza lo splendido passato che aleggia tra noi. Nei suoi 2.500 anni di storia, l’Acropoli è stata concessa come location solo due volte: una per Francis Ford Coppola e una per Nia Vardalos (la regista del film Il mio grosso grasso matrimonio greco), che ci ha girato Le mie grosse grasse vacanze greche. Nel 2009 Vardalos disse che aveva speso «moltissima energia e tempo» per convincere le autorità che le riprese sarebbero state un beneficio per il Paese. Anche se a mio avviso, poi, non hanno giovato molto visto che entrambi i film di Vandalos sono per idioti. Ma se cambiasse la nostra mentalità, forse sullo sfondo dei siti archeologici greci si girerebbero film migliori.
Il ministero della Cultura sopravvive con solo lo 0.7 per cento del bilancio nazionale. Se a questa percentuale scandalosa si aggiungono le spese per cattiva gestione, ci troviamo in impasse e allo stesso tempo davanti a un miracolo. Nonostante difficoltà insormontabili, la vita culturale, come si diceva, non manca. I problemi però si accumulano: la mancanza di fondi per esempio, ha portato a rimandare continuamente la costruzione di un nuovo accesso al sito di Delfi (che infine è iniziata qualche giorno fa). Si suppone che le entrate frutto dei permessi di accesso ai siti saranno usate dal ministero che dal 2010 si è visto ridurre i finanziamenti del 32 per cento.
È passato molto tempo dalla discussione pubblica per il rientro in patria delle sculture del Partenone: oggi manca il personale, molti musei sono chiusi e molti archeologi sono degradati a burocrati o sono disoccupati. L’Associazione degli archeologi cerca di reagire con il motto «I monumenti non hanno voce. Tu sì» denunciando la sottovalutazione della loro professionalità, dacché sono costretti a occuparsi quasi solo di aspetti burocratici e di sopralluoghi nei cantieri dove potrebbero esserci reperti. Negli ultimi decenni peraltro il settore edile è precipitato e gli archeologi si dedicano sempre più a scavi di salvataggio ma senza avere tempo e modo per rendere pubblici i ritrovamenti.
A questo punto bisogna almeno dare la giusta collocazione agli archeologi in servizio e dare loro la possibilità di fare il proprio lavoro. Il problema non è certo la “pigrizia”: in Grecia si scava in modo affannoso, si trovano e si accumulano oggetti. La quantità è tale che, come dicono alcuni archeologi disperati, si cade nella tentazione di sotterrarli di nuovo. Ovunque si apra una fossa, si trovano reperti: ci sono 19mila siti archeologici e monumenti, 210 musei archeologici. Che necessitano di manutenzione e di ammodernamento. A Citera, dopo che l’archeologo locale Aris Tsaravopoulos è andato in pensione nessun altro della Sovrintendenza è mai andato sull’isola, e il signor Tsaravopoulos non ha potuto procedere al pieno salvataggio dei reperti quando una tempesta ha portato alla luce una moltitudine di vasi minoici del II millennio a.C. Una parte è stata trascinata in mare dalla pioggia e al prossimo temporale non rimarrà più niente. Così o ci si strugge per l’assenza di interventi statali o si è risucchiati dal sistema perdendo ogni spirito di iniziativa e creatività. Urge una nuova cultura, anche fra gli esperti e i cittadini: la Grecia è impensabile senza la sua storia, senza quei marmi che non arrugginiscono. Per salvarci dalla catastrofe dobbiamo salvarci dall’abbandono e dall’oblio.
(Traduzione dal greco di Giuseppina Dilillo)
Scatole cinesi di Soti Triantafillou su "sul romanzo punto it"
http://www.sulromanzo.it/blog/scatole-cinesi-quattro-stagioni-per-il-detective-malone-di-soti-triantafillou
Scatole cinesi. Quattro stagioni per il detective Malone” di Soti Triantafillou
Autore: Rossella MartielliMer, 27/06/2012 - 08:14
tore greco Soti Triantafillou, sinceramente non sapevo cosa aspettarmi. La trama fa giustamente pensare a una sorta di giallo, ma qualcosa mi suggeriva che si trattava di un thriller piuttosto anomalo, o meglio, di uno di quei romanzi la cui complessità non può esaurirsi in una breve e asettica definizione di genere. Tanto per cominciare, mi ha mandata in confusione una specie di “promiscuità geografica”, presumo voluta e ricercata: a scrivere è un greco, mentre il personaggio principale è un americano d.o.c., cresciuto nei bassifondi della New York degli anni Settanta, e tuttavia sin dalle prime pagine è evidente come l’intero romanzo, a partire dal titolo, sia impregnato di cultura cinese. Questo curioso minestrone razziale ben rispecchia la realtà multietnica della New York che si apprestava a lasciarsi alle spalle i burrascosi anni Ottanta per entrare nei Novanta, gli anni del governo di Giuliani, l’uomo che nel bene e nel male avrebbe dato un nuovo volto alla città.
Ci sarebbe riuscito mediante una “operazione di pulizia” rigorosa, misure sociali caratterizzate dalla tolleranza zero e un autoritarismo ai limiti del consentito: erano queste le caratteristiche principali di una politica che avrebbe fatto piazza pulita di gran parte della delinquenza che nel 1989 – anno in cui è ambientato il romanzo – rendeva New York una delle città più pericolose dell’intero globo, crocevia della criminalità mondiale, dove la polizia assisteva impotente a un numero di omicidi così scandalosamente alto da poter tranquillamente essere definito una strage senza esclusione di colpi, che non risparmiava nessuno.
Bianchi, neri, gialli ed ebrei venivano colpiti alla stessa maniera, e ogni minoranza – etnica o religiosa che fosse – vedeva ai vertici organizzazioni estremiste che si scontravano continuamente tra loro, seminando panico e violenza. Apprendiamo tutto questo grazie a un illuminante prologo che adempie perfettamente alle sue funzioni esplicative, proiettando il lettore in un tempo e un luogo ben determinati – la New York del 1989, appunto, che vedeva il primo sindaco nero della sua storia, David Dinkins.
Proseguendo la lettura, ci si rende conto che in realtà l’elemento “giallo” – una catena di delitti eterogenei e apparentemente scollegati tra loro, fatta eccezione per l’identico tatuaggio trovato sui corpi delle vittime – è solo un “pretesto” per consegnare al lettore il ritratto fedele di una società multietnica, complessa, degradata eppure affascinante, in cui l’umanità è presente in tutte le sue declinazioni potenzialmente infinite, sfumature che riecheggiano nella galleria di personaggi che popolano questo romanzo, una delle opere più autenticamente letterarie che abbia letto negli ultimi tempi (cosa non facile, in un periodo che ormai dura da diversi anni in cui la fiction si è impossessata anche della letteratura).
Pigro e indolente, cinico e amareggiato, il detective Malone affronta la città nella stessa maniera in cui affronta la gente con cui viene a contatto: senza farsi illusioni di sorta, senza aspettarsi nulla né chiedere nulla alla vita, se non di continuare a sopravvivere così, sospeso in un tempo che non passa mai – colpa anche dell’incurabile, emblematica insonnia che lo affligge da quando la sua compagna se n’è andata di casa per sposare un altro – e in una giungla umana dove l’incrocio tra culture diverse, anziché arricchire l’uomo, si rivela una bomba a orologeria costantemente sul punto di esplodere, come sempre accade quando regna la miseria spirituale ed economica.
Il “sogno americano” – incarnato soprattutto da Deni, la segretaria di Malone, trasferitasi in città dalla provincia per cercare fortuna e una vita diversa da quella cui era destinata – non potrebbe essere più lontano di così: da New York al profondo Midwest, gli Stati Uniti cercano faticosamente di costruirsi un’identità nonostante l’intolleranza e il razzismo imperante, e nonostante quelle che possono essere definite le epidemie del Novecento, ossia le droghe pesanti, l’eroina soprattutto, e l’AIDS, il male del secolo. Emblematico, infine, il ruolo della cultura cinese, oscura e pervasiva come nella migliore tradizione letteraria. New York, come altre metropoli mondiali, ha in sé un pezzo di Cina che Malone conosce molto bene, dal momento che il suo ufficio si trova nel cuore di Chinatown.
Fanatico di medicina e oroscopo cinese, di feng shui (disciplina orientale che si propone di orientare favorevolmente l’energia degli ambienti mediante la disposizione degli arredi) e biscotti della fortuna, questo anomalo detective sa bene che, a differenza delle altre culture, quella cinese è particolarmente ostinata e resistente, difficilmente permeabile dall’esterno; in un mondo senza logica né razionalità, dove la violenza è l’unica regola senza eccezioni (tale è lo scenario apocalittico descrittoci da Triantafillou) appartenere a qualcosa, sentirsi parte di qualcosa in cui ancora si riesce a credere, sembra essere l’unica soluzione per non impazzire del tutto.
Per illudersi che, nonostante tutto, qualcosa conti davvero.
Scatole cinesi. Quattro stagioni per il detective Malone” di Soti Triantafillou
Autore: Rossella MartielliMer, 27/06/2012 - 08:14
Scatole cinesiQuando ho preso in mano per la prima volta Scatole cinesi. Quattro stagioni per il detective Malone, dell’au

tore greco Soti Triantafillou, sinceramente non sapevo cosa aspettarmi. La trama fa giustamente pensare a una sorta di giallo, ma qualcosa mi suggeriva che si trattava di un thriller piuttosto anomalo, o meglio, di uno di quei romanzi la cui complessità non può esaurirsi in una breve e asettica definizione di genere. Tanto per cominciare, mi ha mandata in confusione una specie di “promiscuità geografica”, presumo voluta e ricercata: a scrivere è un greco, mentre il personaggio principale è un americano d.o.c., cresciuto nei bassifondi della New York degli anni Settanta, e tuttavia sin dalle prime pagine è evidente come l’intero romanzo, a partire dal titolo, sia impregnato di cultura cinese. Questo curioso minestrone razziale ben rispecchia la realtà multietnica della New York che si apprestava a lasciarsi alle spalle i burrascosi anni Ottanta per entrare nei Novanta, gli anni del governo di Giuliani, l’uomo che nel bene e nel male avrebbe dato un nuovo volto alla città.
Ci sarebbe riuscito mediante una “operazione di pulizia” rigorosa, misure sociali caratterizzate dalla tolleranza zero e un autoritarismo ai limiti del consentito: erano queste le caratteristiche principali di una politica che avrebbe fatto piazza pulita di gran parte della delinquenza che nel 1989 – anno in cui è ambientato il romanzo – rendeva New York una delle città più pericolose dell’intero globo, crocevia della criminalità mondiale, dove la polizia assisteva impotente a un numero di omicidi così scandalosamente alto da poter tranquillamente essere definito una strage senza esclusione di colpi, che non risparmiava nessuno.
Bianchi, neri, gialli ed ebrei venivano colpiti alla stessa maniera, e ogni minoranza – etnica o religiosa che fosse – vedeva ai vertici organizzazioni estremiste che si scontravano continuamente tra loro, seminando panico e violenza. Apprendiamo tutto questo grazie a un illuminante prologo che adempie perfettamente alle sue funzioni esplicative, proiettando il lettore in un tempo e un luogo ben determinati – la New York del 1989, appunto, che vedeva il primo sindaco nero della sua storia, David Dinkins.
Proseguendo la lettura, ci si rende conto che in realtà l’elemento “giallo” – una catena di delitti eterogenei e apparentemente scollegati tra loro, fatta eccezione per l’identico tatuaggio trovato sui corpi delle vittime – è solo un “pretesto” per consegnare al lettore il ritratto fedele di una società multietnica, complessa, degradata eppure affascinante, in cui l’umanità è presente in tutte le sue declinazioni potenzialmente infinite, sfumature che riecheggiano nella galleria di personaggi che popolano questo romanzo, una delle opere più autenticamente letterarie che abbia letto negli ultimi tempi (cosa non facile, in un periodo che ormai dura da diversi anni in cui la fiction si è impossessata anche della letteratura).
Pigro e indolente, cinico e amareggiato, il detective Malone affronta la città nella stessa maniera in cui affronta la gente con cui viene a contatto: senza farsi illusioni di sorta, senza aspettarsi nulla né chiedere nulla alla vita, se non di continuare a sopravvivere così, sospeso in un tempo che non passa mai – colpa anche dell’incurabile, emblematica insonnia che lo affligge da quando la sua compagna se n’è andata di casa per sposare un altro – e in una giungla umana dove l’incrocio tra culture diverse, anziché arricchire l’uomo, si rivela una bomba a orologeria costantemente sul punto di esplodere, come sempre accade quando regna la miseria spirituale ed economica.
Il “sogno americano” – incarnato soprattutto da Deni, la segretaria di Malone, trasferitasi in città dalla provincia per cercare fortuna e una vita diversa da quella cui era destinata – non potrebbe essere più lontano di così: da New York al profondo Midwest, gli Stati Uniti cercano faticosamente di costruirsi un’identità nonostante l’intolleranza e il razzismo imperante, e nonostante quelle che possono essere definite le epidemie del Novecento, ossia le droghe pesanti, l’eroina soprattutto, e l’AIDS, il male del secolo. Emblematico, infine, il ruolo della cultura cinese, oscura e pervasiva come nella migliore tradizione letteraria. New York, come altre metropoli mondiali, ha in sé un pezzo di Cina che Malone conosce molto bene, dal momento che il suo ufficio si trova nel cuore di Chinatown.
Fanatico di medicina e oroscopo cinese, di feng shui (disciplina orientale che si propone di orientare favorevolmente l’energia degli ambienti mediante la disposizione degli arredi) e biscotti della fortuna, questo anomalo detective sa bene che, a differenza delle altre culture, quella cinese è particolarmente ostinata e resistente, difficilmente permeabile dall’esterno; in un mondo senza logica né razionalità, dove la violenza è l’unica regola senza eccezioni (tale è lo scenario apocalittico descrittoci da Triantafillou) appartenere a qualcosa, sentirsi parte di qualcosa in cui ancora si riesce a credere, sembra essere l’unica soluzione per non impazzire del tutto.
Per illudersi che, nonostante tutto, qualcosa conti davvero.
venerdì 29 giugno 2012
mercoledì 27 giugno 2012
La Nota del Traduttore punto it
http://www.lanotadeltraduttore.it/scatole_cinesi_quattro_stagioni.htm
rivista elettronica di Dori Agrosì
Scatole cinesi. Quattro stagioni per il detective Malone
di: Soti Triantafillou / editore: Voland, 2012
traduttore: Giuseppina Dilillo - Traduzione dal greco moderno
Le scatole cinesi, come le matrioske russe, sono una serie di scatole inserite
una dentro l’altra, l’ultima, la più piccola, non si apre, conserva per sé il
suo segreto e il suo prezioso contenuto. I fatti narrati in questo libro si concatenano
l’uno all’altro come scatole cinesi, un elemento porta a un altro e poi a un altro
ancora, nella speranza continua di giungere a una conclusione che però non arriva.
Nonostante l’assenza del classico “lieto fine”, il libro rispetta ugualmente il criterio aristotelico della “catarsi”. La differenza rispetto alla letteratura di genere noir a cui Scatole cinesi appartiene, e la firma distintiva di Soti Triantafillou, sta nel fatto che la “catarsi” non è intesa come purificazione della società dal male (l’arresto dell’assassino e il trionfo del bene sul male), ma diventa una questione personale del protagonista, del solitario detective Malone.
Abbandonato dalla sua donna già alcuni anni prima dell’inizio cronologico di questa storia, non riesce ancora a elaborare la perdita subita e si rifugia in un atteggiamento apatico fatto di routine, come se l’automatismo della sua quotidianità possa in qualche modo sopperire all’incapacità di reagire. Ogni tanto si lascia prendere dall’impulso di porre fine alla sua vuota esistenza: un semplice cavo elettrico da cui pende la lampadina in una bottega di barbiere “gli [sembra] proprio adatto a impiccarsi” (pag. 69); la finestra bloccata del suo ufficio gli impedisce di assecondare “quel vecchio desiderio di cadere nel vuoto” (pag. 50).
Il male della società in cui si muovono Malone, la sua segretaria Deni e i poliziotti che indagano sulla serie di omicidi di stampo razzista, porta a crearsi una corazza impenetrabile di difesa che potrebbe essere scambiata per insensibilità. In realtà si tratta di rassegnazione, dovuta alla consapevolezza di essere impotenti di fronte al male e di non poterlo debellare. Il male non è che il risultato di un intricato complesso di concause (scatole cinesi!) per le quali nessuno è direttamente responsabile, o se lo vogliamo vedere secondo l’ottica di Soti, per le quali tutti siamo responsabili, almeno indirettamente.
Ma la “catarsi” che Soti Triantafillou ha previsto per il suo libro non è la tragica risoluzione di Malone come un novello Aiace, bensì il ritorno, dopo un anno intero, della primavera, quando cioè Malone riesce finalmente a formulare un pensiero che somiglia più a un momento epifanico: si rende conto di essere ormai “cresciuto troppo per continuare a soffrire” (pag. 211) e decide di uscire dal torpore.
Non è semplice tradurre Soti Triantafillou. È tra gli scrittori greci contemporanei più noti. Da quando ha cominciato a pubblicare, una ventina di anni fa circa, ha dato alle stampe più di 20 libri tra romanzi e raccolte di racconti, oltre a vari altri libri di non narrativa. Possiede una cultura sconfinata e nei suoi libri ci sono sempre moltissimi riferimenti storici e culturali che il traduttore deve saper riconoscere perché spesso sono ben mimetizzati nel flusso narrativo. Compito arduo.
Difficile è anche cercare di rispettare il suo personale stile di scrittura. Molte ripetizioni enfatiche, uso di tutti i segni di interpunzione previsti dai manuali di scrittura. In un’epoca, la nostra, che ormai considera il “punto e virgola” un elemento in via di estinzione, Soti ne fa un uso abbondante e particolarissimo. In alcuni punti ho dovuto emendare e trasformare qualche punto e virgola in semplice virgola o in punto. Ma in alcuni tratti, questo apparentemente insignificante segno di interpunzione, assume un ruolo importantissimo, e non poteva essere epurato. Penso soprattutto alla scena in cui Deni, piena di ansia e paura, aspetta la visita dell’uomo di cui suo malgrado si è innamorata ma che probabilmente è coinvolto nella serie di omicidi. Lei è in casa (un mini-appartamento invaso da scarafaggi che lei aspira con il suo aspirapolvere rosa) e aspetta “…con il batticuore a ogni minimo rumore; un gatto passò miagolando fuori della porta; una vicina uscì sul pianerottolo per spazzare; il portiere le infilò sotto la porta una pubblicità di cibi cinesi da asporto. (pag. 128). Qui il punto e virgola dà la sensazione di fotogrammi che si susseguono, come se fossero sprazzi di luci di diapositive proiettate in una sala buia: il batticuore a ogni minimo rumore – clack-buio-cambio diapositiva- un gatto passa miagolando fuori della porta – clack-buio-cambio diapositiva-una vicina esce-clack-buio-cambio diapositiva-il portiere le infila una pubblicità-clack-buio. Non si ha la sensazione che questi fotogrammi posti così aumentino la suspense e ci rendano perfettamente lo stato d’animo di Deni trepidante? Il punto e virgola doveva rimanere.
Giuseppina Dilillo
rivista elettronica di Dori Agrosì
Scatole cinesi. Quattro stagioni per il detective Malone
di: Soti Triantafillou / editore: Voland, 2012
traduttore: Giuseppina Dilillo - Traduzione dal greco moderno

Nonostante l’assenza del classico “lieto fine”, il libro rispetta ugualmente il criterio aristotelico della “catarsi”. La differenza rispetto alla letteratura di genere noir a cui Scatole cinesi appartiene, e la firma distintiva di Soti Triantafillou, sta nel fatto che la “catarsi” non è intesa come purificazione della società dal male (l’arresto dell’assassino e il trionfo del bene sul male), ma diventa una questione personale del protagonista, del solitario detective Malone.
Abbandonato dalla sua donna già alcuni anni prima dell’inizio cronologico di questa storia, non riesce ancora a elaborare la perdita subita e si rifugia in un atteggiamento apatico fatto di routine, come se l’automatismo della sua quotidianità possa in qualche modo sopperire all’incapacità di reagire. Ogni tanto si lascia prendere dall’impulso di porre fine alla sua vuota esistenza: un semplice cavo elettrico da cui pende la lampadina in una bottega di barbiere “gli [sembra] proprio adatto a impiccarsi” (pag. 69); la finestra bloccata del suo ufficio gli impedisce di assecondare “quel vecchio desiderio di cadere nel vuoto” (pag. 50).
Il male della società in cui si muovono Malone, la sua segretaria Deni e i poliziotti che indagano sulla serie di omicidi di stampo razzista, porta a crearsi una corazza impenetrabile di difesa che potrebbe essere scambiata per insensibilità. In realtà si tratta di rassegnazione, dovuta alla consapevolezza di essere impotenti di fronte al male e di non poterlo debellare. Il male non è che il risultato di un intricato complesso di concause (scatole cinesi!) per le quali nessuno è direttamente responsabile, o se lo vogliamo vedere secondo l’ottica di Soti, per le quali tutti siamo responsabili, almeno indirettamente.
Ma la “catarsi” che Soti Triantafillou ha previsto per il suo libro non è la tragica risoluzione di Malone come un novello Aiace, bensì il ritorno, dopo un anno intero, della primavera, quando cioè Malone riesce finalmente a formulare un pensiero che somiglia più a un momento epifanico: si rende conto di essere ormai “cresciuto troppo per continuare a soffrire” (pag. 211) e decide di uscire dal torpore.
Non è semplice tradurre Soti Triantafillou. È tra gli scrittori greci contemporanei più noti. Da quando ha cominciato a pubblicare, una ventina di anni fa circa, ha dato alle stampe più di 20 libri tra romanzi e raccolte di racconti, oltre a vari altri libri di non narrativa. Possiede una cultura sconfinata e nei suoi libri ci sono sempre moltissimi riferimenti storici e culturali che il traduttore deve saper riconoscere perché spesso sono ben mimetizzati nel flusso narrativo. Compito arduo.
Difficile è anche cercare di rispettare il suo personale stile di scrittura. Molte ripetizioni enfatiche, uso di tutti i segni di interpunzione previsti dai manuali di scrittura. In un’epoca, la nostra, che ormai considera il “punto e virgola” un elemento in via di estinzione, Soti ne fa un uso abbondante e particolarissimo. In alcuni punti ho dovuto emendare e trasformare qualche punto e virgola in semplice virgola o in punto. Ma in alcuni tratti, questo apparentemente insignificante segno di interpunzione, assume un ruolo importantissimo, e non poteva essere epurato. Penso soprattutto alla scena in cui Deni, piena di ansia e paura, aspetta la visita dell’uomo di cui suo malgrado si è innamorata ma che probabilmente è coinvolto nella serie di omicidi. Lei è in casa (un mini-appartamento invaso da scarafaggi che lei aspira con il suo aspirapolvere rosa) e aspetta “…con il batticuore a ogni minimo rumore; un gatto passò miagolando fuori della porta; una vicina uscì sul pianerottolo per spazzare; il portiere le infilò sotto la porta una pubblicità di cibi cinesi da asporto. (pag. 128). Qui il punto e virgola dà la sensazione di fotogrammi che si susseguono, come se fossero sprazzi di luci di diapositive proiettate in una sala buia: il batticuore a ogni minimo rumore – clack-buio-cambio diapositiva- un gatto passa miagolando fuori della porta – clack-buio-cambio diapositiva-una vicina esce-clack-buio-cambio diapositiva-il portiere le infila una pubblicità-clack-buio. Non si ha la sensazione che questi fotogrammi posti così aumentino la suspense e ci rendano perfettamente lo stato d’animo di Deni trepidante? Il punto e virgola doveva rimanere.
Giuseppina Dilillo
recensione di Scatole Cinesi su "solo libri punto net"
http://www.sololibri.net/Scatole-cinesi-Quattro-stagioni.html
Pubblicato
da Voland nel 2012, “Scatole cinesi. Quattro stagioni per il detective
Malone” della greca Soti Triantafillou è uno di quei romanzi che
rappresentano dei veri e propri affreschi di una città e di un’epoca. In
questo caso si tratta della New York della fine degli anni Ottanta, che
si apprestava a entrare nel decennio dei Novanta e nell’era di
Giuliani, il sindaco italo-americano famoso per la sua intransigenza,
l’autoritarismo e la lotta senza quartiere contro la criminalità che mai
come in quegli anni teneva sotto scacco la Grande Mela, al punto da
farne una delle metropoli più pericolose dell’intero globo.
Nel 1989, anno in cui è ambientato il romanzo, New York aveva infatti raggiunto livelli di pericolosità eclatanti: la maggior parte dei quartieri erano in mano alla microcriminalità locale, spesso di provenienza estera, orientale o europea, il più delle volte a servizio di potenti organizzazioni mafiose internazionali come quella cinese; incalcolabile il numero dei furti e degli omicidi efferati, senza un movente apparente, enorme la diffusione delle droghe pesanti – soprattutto l’eroina – e della malattia ancora semi-sconosciuta che costituirà la più grande epidemia degli anni a venire, ossia l’AIDS. Inoltre nella New York di quegli anni convivevano a fatica popoli diversi per razza e cultura – cinesi, nordafricani, greci ecc. – la cui vicinanza era una specie di bomba a mano che aspettava solo di essere innescata. Sembrava impossibile riportare l’ordine in una città che conteneva decine di città diverse, antitetiche, inconciliabili, che rappresentavano altrettante culture, tra le quali quella cinese era senza dubbio una delle più chiuse, impermeabili alle influenze esterne.
A partire dal titolo, e pur avendo come protagonista un americano doc – il detective privato Stuart Malone, appunto – questo romanzo è permeato dall’inizio alla fine di cultura cinese, una cultura particolarmente affascinante per noi europei proprio perché così diversa dalla nostra. Sono anni ormai che Malone vive a Chinatown, quartiere di cui ha assorbito le caratteristiche fino a far propria la filosofia di vita cinese. Tra rimedi orientali per l’insonnia e la depressione, nozioni di feng shui – l’arte dell’arredamento volta a orientare positivamente l’energia dell’ambiente in cui si vive –, complicati codici mafiosi, coincidenze astrali e biscotti della fortuna, il detective Malone si troverà alle prese con un’inquietante serie di omicidi apparentemente scollegati tra loro, accomunati tuttavia da un indecifrabile tatuaggio rinvenuto sui corpi di tutte le vittime. Lungi dall’incarnare lo stereotipo classico del detective tutto istinto e azione, Malone è pigro e indolente, costantemente alle prese con il rimpianto del suo unico amore finito male e tendenzialmente depresso.
Contraddistinto da un’ottima caratterizzazione dei personaggi, questo romanzo è molto più che un thriller: è narrativa pura, della migliore che mi sia capitata di leggere di recente.
di Rossella Martielli, scrittrice - 18-06-2012

Nel 1989, anno in cui è ambientato il romanzo, New York aveva infatti raggiunto livelli di pericolosità eclatanti: la maggior parte dei quartieri erano in mano alla microcriminalità locale, spesso di provenienza estera, orientale o europea, il più delle volte a servizio di potenti organizzazioni mafiose internazionali come quella cinese; incalcolabile il numero dei furti e degli omicidi efferati, senza un movente apparente, enorme la diffusione delle droghe pesanti – soprattutto l’eroina – e della malattia ancora semi-sconosciuta che costituirà la più grande epidemia degli anni a venire, ossia l’AIDS. Inoltre nella New York di quegli anni convivevano a fatica popoli diversi per razza e cultura – cinesi, nordafricani, greci ecc. – la cui vicinanza era una specie di bomba a mano che aspettava solo di essere innescata. Sembrava impossibile riportare l’ordine in una città che conteneva decine di città diverse, antitetiche, inconciliabili, che rappresentavano altrettante culture, tra le quali quella cinese era senza dubbio una delle più chiuse, impermeabili alle influenze esterne.
A partire dal titolo, e pur avendo come protagonista un americano doc – il detective privato Stuart Malone, appunto – questo romanzo è permeato dall’inizio alla fine di cultura cinese, una cultura particolarmente affascinante per noi europei proprio perché così diversa dalla nostra. Sono anni ormai che Malone vive a Chinatown, quartiere di cui ha assorbito le caratteristiche fino a far propria la filosofia di vita cinese. Tra rimedi orientali per l’insonnia e la depressione, nozioni di feng shui – l’arte dell’arredamento volta a orientare positivamente l’energia dell’ambiente in cui si vive –, complicati codici mafiosi, coincidenze astrali e biscotti della fortuna, il detective Malone si troverà alle prese con un’inquietante serie di omicidi apparentemente scollegati tra loro, accomunati tuttavia da un indecifrabile tatuaggio rinvenuto sui corpi di tutte le vittime. Lungi dall’incarnare lo stereotipo classico del detective tutto istinto e azione, Malone è pigro e indolente, costantemente alle prese con il rimpianto del suo unico amore finito male e tendenzialmente depresso.
Contraddistinto da un’ottima caratterizzazione dei personaggi, questo romanzo è molto più che un thriller: è narrativa pura, della migliore che mi sia capitata di leggere di recente.
giovedì 31 maggio 2012
Diego Zandel recensisce "Scatole Cinesi" sulla Gazzetta del Mezzogiorno
http://ladrodilibri.blogspot.com/2012/05/soti-triantafillou-tradotto-un-suo.html
LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO 31 – 5- 2012
Quattro stagioni per il detective Malone dell’autrice ellenica Soti Triantafillou
IL GROSSO GRASSO INTRIGO CINESE D’UNO SBIRRO AMERICANO (E GRECO)
Edito da Voland nella efficace traduzione della lucana Dilillo
di Diego Zandel
Soti Triantafillou, Scatole cinesi, Voland, pag. 211, €. 14,00
SOTI TRIANTAFILLOU, TRADOTTO UN SUO ROMANZO IN ITALIA DA GIUSEPPINA DILILLO
Quattro stagioni per il detective Malone dell’autrice ellenica Soti Triantafillou
IL GROSSO GRASSO INTRIGO CINESE D’UNO SBIRRO AMERICANO (E GRECO)
Edito da Voland nella efficace traduzione della lucana Dilillo
di Diego Zandel
Il titolo: “Scatole cinesi”, e il sottotitolo: “Quattro stagioni per il
detective Malone” di Soti Triantafillou, edito in Italia da Voland nella
efficace traduzione della lucana Giuseppina Dilillo, lasciano
sospettare che il romanzo, seppur scritto da una delle maggiori e più
versatili scrittrici greche, non sia di ambientazione greca. E, infatti,
fin dalla prima pagina ci si trova a New York, inizio anni Novanta,
dove si svolgerà l’intera storia nell’arco di quattro stagioni,
dall’estate alla primavera successiva. Non è un caso: l’autrice ha
trascorso anni di studio e di lavoro negli Stati Uniti, dove ancora vive
parte dell’anno, insegnando, titolare di varie docenze di cui è
significativa, alla luce di questo romanzo, quella di Storia del cinema,
sul quale scrive anche su Athens Voice e Book Press.
Titolo e sottotitolo evidenziano anche che abbiamo a che fare con un
giallo. Ebbene, la conoscenza dell’ambiente, della grande narrativa hard
boiled e del cinema che ne è stato prodotto è tale da consentirle di
manipolare, con un uso accorto dell’ironia, gli stereotipi, a cominciare
dai nomi dei personaggi, in gran parte anch’essi cinematografici,
restituendoci un’opera originale e divertente qual’è “Scatole cinesi”.
Tutto qui richiama Chandler. L’investigatore privato Stuart Malone
(stesso cognome del poliziotto de “Gli uomini preferiscono le bionde”),
ex poliziotto caduto in disgrazia per il poco patriottismo dimostrato
quando era soldato in Vietnam (“E chi sono io, eh? Jane Fonda?”), ma
anche perché faceva sempre di testa sua e non rispettava “le
consuetudini della squadra”. Un isolato, insomma, con ufficio a
Chinatown, fissato con gli oroscopi e l’erboristeria cinesi e il feng
shui, che vive nella perpetua nostalgia della ex moglie Allison, che
l’ha lasciato per sposare un macellaio e trasferirsi nel Connecticut:
ormai era pervenuto alla conclusione che l’amore tra lui, nato nell’anno
del bue, e Allison, lepre, non poteva durare. “Il bue presenta affinità
solo con il serpente e il gallo. Al limite con il topo”. Malone così si
barcamena alla meglio tra il bar di Jake, con il quale filosofeggia
bevendo whisky, e il negozio di erbe medicinali del vecchio saggio
cinese Ki-Young, che gli risponde col silenzio o quasi. Per fortuna ha
una segretaria, Deni Lamour, che si presterà ad alcune ricerche,
rivelatesi poi pericolose, di un certo Hank Cassidy, la cui scomparsa
Malone cerca di interpretarla con la numerologia cinese, che Deni
“considerava roba da dissennati”, se non altro perché “i numeri
significavano qualcosa nel cantonese e il contrario nel mandarino e
Ki-Young interpretava i sogni in un modo che si scontrava con la logica
comune”. Non manca la rivalità con i poliziotti dei due distretti a
maggior densità criminale (Rudolf Giuliani deve ancora arrivare a
mettere ordine) in cui Malone ha l’ufficio, cioè il 5° di Chinatown e
il 41° del South Bronx, “noto come Fort Apache”. Quanto ai nomi dei
poliziotti, sono O’Hara, Savini, Manzanira, Bullock. Una rivalità che
poi non mancherà di dare prova di collaborazione quando l’intraprendete
Deni Lamour, scoperta la fine di Cassidy, si troverà invischiata in una
ambigua storia d’amore con un tipo appartenente a una banda di nazisti
del Nebraska, chiamata “Pugni a martello”, il cui capo è un certo Doctor
Strangekiss il quale “in un’adunanza patriottica aveva dichiarato, tra
le altre cose, che starsene al sole per abbronzarsi era tradimento
contro la razza bianca, la sporca abitudine dell’abbronzatura era una
conseguenza della cospirazione ebraica”. Gente ridicola, usa a riti
celtici, ma verso la quale l’autrice pur usando tutta la sua ironia, non
manca di evidenziare il carattere pericoloso. Si verrà, infatti, a
sapere che sono stati loro a uccidere Cassidy, mentre Deni Lamour, che
vuole sapere troppo, rischia di fare la stessa fine. E sarà questa a
scuotere finalmente Malone dal torpore, e fargli dare una svolta alle
indagini. E all’amore (con i giusti segni zodiacali).
Diego ZandelSoti Triantafillou, Scatole cinesi, Voland, pag. 211, €. 14,00
mercoledì 2 maggio 2012
Scatole cinesi di Soti Triantafillou
Triantafillou Soti
Scatole cinesi.
Quattro stagioni per il detective Malone
traduzione di
Giuseppina Dilillo
edizioni Voland
È un anno nero per il detective privato Stuart Malone, ex poliziotto e fanatico di oroscopo e filosofia cinese. Oltre a fare i conti con i propri fallimenti sentimentali è chiamato dalla polizia di New York per risolvere una misteriosa serie di omicidi accomunati da un indecifrabile tatuaggio sui corpi delle vittime. Tra rimedi orientali, feng shui, biscotti della fortuna e coincidenze astrali, il pigro Malone tenta di venire a capo del difficile caso e della propria vita.
EAN 978-88-6243-106-4
pp. 224
Formato Grande
aprile 2012
sabato 21 aprile 2012
Chi è Soti Triantafillou?
Chi è Soti
Triantafillou?
Ė
sicuramente una donna che ha tracciato la sua vita con forza, con volontà e
coerenza. Gli altri la considerano anti-convenzionale, lei dice invece che il
suo stile di vita non ha sorpreso nessuno e che anzi la sua vita potrebbe
essere vista come la noiosa prosecuzione di presupposti esistenti sin dalla sua
più giovane età. (intervista «Η ζωή είναι αλλού» puntata 7, ERT Archive)
Ė nata nel
1957 ad Atene, da una famiglia abbastanza agiata, appartenente ideologicamente
e politicamente alla sinistra, in un periodo però in cui essere di sinistra in
Grecia non era né di moda né molto salutare,
per usare (decontestualizzata) un’espressione di Soti stessa (cfr: Θάνατος το ξημέρωμα): le gite domenicali della famiglia
spesso si limitavano alla visita di parenti e amici rinchiusi nelle carceri
greche dal regime dei Colonnelli.
Una famiglia
agiata, quindi, ma il quadretto che potrebbe venire alla mente non corrisponde
al vissuto di Soti. Nessun privilegio di nessun genere, né dentro la famiglia
né fuori.
Il netto
schieramento politico familiare è percepito da Soti come un modello di vita
asfissiante e totalizzante e ha fatto crescere in lei il desiderio di affermare
la propria personalità, di rivendicare la propria indipendenza e libertà di
pensiero, a dispetto di ogni imposizioni esterna, di ogni tentativo di
appiattimento della propria individualità. Soti non poteva accettare quella fedeltà
ideologica indiscussa che si presentava come un dogma politico e morale e che si
limitava a sostituirsi a altri dogmi, mantenendone inalterato l’asservimento cieco.
Lo
sottomissione supina non rientra tra le caratteristiche di Soti. Da qui
quell’anelito di libertà che caratterizza la sua personalità e che si sprigiona
in tutti i suoi libri, una sorta di pulsione irrefrenabile all’affermazione di
sé in una società che tende a imbrigliare e a immobilizzare in ruoli
predefiniti, penalizzanti per l’individuo. Non è un caso che il peggiore incubo
di Soti sia l’ εγκλεισμός, il rimanere intrappolati, come ci dice nel suo libro
autobiografico Ο χρόνος πάλι (ed. Patakis, 2009, pag. 11).
La reazione
a questa atmosfera “statica” si manifesta con la passione per tutto ciò che
rappresenta il suo contrario, il movimento: la musica rock da cui Soti si
lascia trasportare in balli sfrenati, la lettura di libri che la fanno
viaggiare con la mente e con lo spirito, la velocità di macchine e motori che
le trasmettono un’ebbrezza di felicità. Tutto, pur di spezzare quel guinzaglio
che le stringe sempre più la gola.
Non ci sono filosofie
di vita valide, dice Soti; ritiene che tutte abbiano già mostrato il loro
misero fallimento. Quello in cui crede fortemente è che “per migliorare il
mondo non ci vogliono idee migliori ma persone migliori” (trasmissione Η ζωή είναι αλλού - ERT Archives), concetto che Soti
ribadisce in termini leggermente diversi ma uguali nella sostanza, nel libro
autobiografico: «Ήμουν νέα, πίστευα ότι με το να είσαι καλός μπορείς να αλλάξεις τον κόσμο. Το ίδιο πιστεύω και σήμερα.» (“Ero giovane, credevo che con la bontà si poteva cambiare
il mondo. E lo credo ancora oggi.”[Ο χρόνος πάλι, Il tempo, ancora. edizioni Patakis,
2009, pag. 164).
Queste
opinioni sono ben evidenti nei libri di Soti, dove si riconosce una sensibilità
acuta verso le categorie di persone più fragili, i bambini, i giovani, chi vive
inseguendo ideali, chi non riesce a trovare il proprio spazio nella società, i
meno avvantaggiati. E nei loro confronti non c’è mai un giudizio critico, ma
solo com-passione, un sentimento profondo di condivisione del dolore e del
malessere. E si sente che per lei “il dolore degli altri non è [solo] un dolore
a metà” (Fabrizio de Andrè, Disamistade) ma un dolore vero, partecipato. Questa
profonda partecipazione alle sofferenze degli altri le fanno sorgere un senso
di ribellione contro ogni forma di sopruso e di ingiustizia. La breve citazione
a una canzone di Fabrizio de Andrè che riporto qui sopra, è dovuta al fatto che
nel mio immaginario collego moltissimo Soti a Fabrizio de Andrè. Nella canzone
La città vecchia, c’è una strofa che ritengo bellissima:
se tu penserai, se giudicherai da buon borghese
li condannerai a cinquemila anni più le spese,
ma se capirai, se li cercherai fino in fondo
se non sono gigli son pur sempre figli
vittime di questo mondo.
se capirai,
se li cercherai fino in fondo… a me sembra che questa frase riassuma
perfettamente l’opera di Soti Trinatafillou. Lei cerca sempre sino in fondo le
cose, non si limita alla superficialità, né si lascia abbacinare da facili
soluzioni.
In un romanzo del 2008, un personaggio si augura “di non diventare
mai un uomo senza interrogativi, gli interrogativi lo avevano reso quello che era”
(Λίγο από το αίμα σου, Un po’ del tuo sangue, edizioni
Patakis, Atene, pag. 145) e credo che sia proprio Soti a parlare per bocca del
suo protagonista.
Soti Triantafillou ovvero Σώτη Τριανταφύλλου
http://it.wikipedia.org/wiki/Soti_Triantafillou
Soti Triantafillou
Soti Triantafillou (in lingua greca Σώτη Τριανταφύλλου) (Atene, 4 gennaio 1957) è una scrittrice greca. Autrice di numerosi libri di successo, ma anche giornalista, opinionista, traduttrice editoriale, critico letterario,
docente. I libri pubblicati spaziano dalla narrativa, con romanzi,
racconti, libri per bambini, alla saggistica, con testi di critica
cinematografica, di storia, di politica. Divide la sua vita tra Atene, Parigi e New York, città nelle quali passa lunghi periodi per motivi di studio e di lavoro.
La sua attività di scrittrice, cominciata molto presto, è stata sempre affiancata anche da quella di giornalista, con rubriche fisse su Athens Voice[2] e Book Press[3] di curatore editoriale, di docente di Storia del Cinema presso vari istituti di istruzione. Da citare è anche l'attività di traduttrice letteraria che la vede impegnata in traduzioni dall'inglese, francese, tedesco e italiano in greco[4]. Alcuni degli autori italiani da lei tradotti in lingua greca sono: Roberto Saviano, Cesare Pavese, Leonardo Sciascia, Susanna Tamaro.
La musica, la lettura, le lingue straniere, il cinema sono le sue passioni costanti. In quasi tutti i libri scritti da Soti Triantafillou sono presenti riferimenti a brani musicali e a opere sia narrative che cinematografiche le quali evidenziano la cultura e gli interessi della scrittrice.
I suoi libri sono stati tradotti in più lingue, in francese, in tedesco, in ebraico, in catalano. Nell'aprile del 2012 è comparso anche il primo libro tradotto in italiano, edito dalla casa editrice romana Voland.
I protagonisti dei suoi libri non sono eroi nel vero senso della parola, non presentano niente di veramente eroico se non il coraggio e la volontà di lottare per affermare il proprio diritto alla vita. Il clima che spesso si respira nei libri di Soti Triantafillou è pervaso da un certo senso di malinconia che però mantiene vivo il sogno e la speranza.
Soti Triantafillou
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Biografia [modifica]
Soti Triantafillou è nata ad Atene nel 1957 e qui ha completato la prima fase della sua carriera scolastica e universitaria, laureandosi nel 1979 in Scienze Farmaceutiche. Ha proseguito poi gli studi all’estero, prima a Parigi, presso l’ Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales dove ha conseguito studi post-universitari di cinematografia e poi a New York conseguendo la laurea in Storia della Civiltà Americana del XX secolo. Gli anni trascorsi in America le hanno consentito sì di viaggiare molto e di coltivare il suo amore per la musica, soprattutto quella rock. La vita in America è stata anche occasione per conoscere a fondo un mondo che assumerà un ruolo importante in molti dei suoi libri di narrativa, guadagnandosi il titolo di scrittrice della beat generation. A New York ha lavorato anche come insegnante volontaria nelle scuole pubbliche più disagiate del Bronx. Di ritorno in Grecia, ha conseguito la laurea in Lingua e Letteratura Francese presso l’Università di Atene.[1]La sua attività di scrittrice, cominciata molto presto, è stata sempre affiancata anche da quella di giornalista, con rubriche fisse su Athens Voice[2] e Book Press[3] di curatore editoriale, di docente di Storia del Cinema presso vari istituti di istruzione. Da citare è anche l'attività di traduttrice letteraria che la vede impegnata in traduzioni dall'inglese, francese, tedesco e italiano in greco[4]. Alcuni degli autori italiani da lei tradotti in lingua greca sono: Roberto Saviano, Cesare Pavese, Leonardo Sciascia, Susanna Tamaro.
La musica, la lettura, le lingue straniere, il cinema sono le sue passioni costanti. In quasi tutti i libri scritti da Soti Triantafillou sono presenti riferimenti a brani musicali e a opere sia narrative che cinematografiche le quali evidenziano la cultura e gli interessi della scrittrice.
Produzione narrativa [modifica]
Soti Triantafillou ha esordito in ambito letterario nel 1990 con la pubblicazione del suo primo libro dal titolo:Giorni che somigliavano a mandarini (Μέρες που έμοιασαν με μανταρίνι), una raccolta di scritti e annotazioni che acquistano l’aspetto di racconti. Da questo momento i titoli si sono susseguiti a ritmi serrati, alternando la narrativa vera e propria alla saggistica.I suoi libri sono stati tradotti in più lingue, in francese, in tedesco, in ebraico, in catalano. Nell'aprile del 2012 è comparso anche il primo libro tradotto in italiano, edito dalla casa editrice romana Voland.
I protagonisti dei suoi libri non sono eroi nel vero senso della parola, non presentano niente di veramente eroico se non il coraggio e la volontà di lottare per affermare il proprio diritto alla vita. Il clima che spesso si respira nei libri di Soti Triantafillou è pervaso da un certo senso di malinconia che però mantiene vivo il sogno e la speranza.
Bibliografia [modifica]
Romanzi [modifica]
- 1990 - Μέρες που έμοιαζαν με μανταρίνι (Meres pou emoizan me mantarini) edizioni Αιγόκερως
- 1992 - Το εναέριο τραίνο στο Στίγλουελ (To enaerio traino sto Stiglouel) ed. Δελφίνι
- 1993 - Άλφαμπετ Σίτι (Alphabet City) ed. Δελφίνι
- 1996 - Σάββατο βράδυ στην άκρη της πόλης (Sabbato brady stin akri tis polis) ed. Πόλις
- 1997 - Αύριο, μια άλλη χώρα (Avrio, mia alli chora) ed. Πόλις
- 1998 - Ο υπόγειος ουρανός (O ypogeios ouranos) ed.Πόλις
- 2000 - Το εργοστάσιο των μολυβιών (To ergostasio ton molybion) ed. Πατάκης
- 2001 - Φτωχή Μάργκο ( Ftochi Margo) ed. Πατάκης
- 2002 - Γράμμα από την Αλάσκα (Gramma apo tin Alaska) ed. Ελληνικά Γράμματα
- 2003 - Άλμπατρος (Albatros) ed. Πατάκης
- 2003 - Θάνατος το ξημέρωμα (Thanatos to xymeroma) ed. Ιανός
- 2004 - Η φυγή (H fygi) ed. Μελάνι
- 2005 - Συγχώρεση (Sigchoresi) ed. Πατάκης
- 2006 - Πιτσιμπούργκο (Pitsimpourgko) ed. Αιγέας
- 2006 - Κινέζικα Κουτιά ed. Πατάκης (trad. it. ''''Scatole cinesi'''', ed. Voland, Roma 2012, ISBN 9788862431064)
- 2008 - Λίγο από το αίμα σου (Ligo apo to aima sou) ed. Πατάκης
- 2009 - Ο χρόνος πάλι (O chronos pali) ed. Πατάκης
- 2011 - Για την αγάπη της γεωμετρίας (Gia tin agapi tis geometrias) ed. Πατάκης
Antologie di racconti con altri autori [modifica]
- 1998 - Κύμινο και κανέλα (Kymino kai kanela) ed. Πατάκης
- 2001 - Παραμύθια από το μέλλον (Paramythia apo to mellon) ed. Μίνωας
- 2003 - Αληθινές ιστορίες (Alithines istories) ed. Μεταίχμιο
- 2005 - 4 ιστορίες της πόλης (4 istories tis polis) ed. Athens Voice
Letteratura per bambini [modifica]
- 1999 - Η Μαριόν στα ασημένια νησιά και τα κόκκινα δάση (H Marion sta ashmenia nisia kai ta kokkina dasi) ed. Πατάκης
- 2004 - Γράμμα από ένα δράκο (Gramma apo ena drako) ed. Πατάκης
- 2011 - Η Μιλένα και το φρικτό ψάρι (H Milena kai to frikto psari) ed. Πατάκης
Letteratura per adolescenti [modifica]
Testi di cinematografia [modifica]
- 1985 - Μονογραφίες: Τζον Κασσαβέτης (Monografies: John Cassavetes) ed. Αιγόκερως
- 1987 - Γαλλικός Κινηματογράφος (Galliko kinimatografos) ed. Αιγόκερως
- 1988 - Νέος Αγγλικός Κινηματογράφος (Neos agglikos kinimatografos) ed. Αιγόκερως
- 1989 - Κινηματογραφημένες Πόλεις ed. Σύγχρονη Εποχή
- 1993 - Ιστορία του Παγκόσμιου Κινηματογράφου 1976-1992 ed. Αιγόκερως
- 2003 - Φρανσουά Τρυφώ (François Truffaut ed. Αιγόκερως
Altro [modifica]
- 1998 - Γυναίκες συγγραφείς του 20ού αιώνα - ημερολόγιο 1999 (Gynaikes syggrafeis tou XX aiona) ed. Πατάκης
- 1999 - Ημερολόγιο τεχνολογίας του 20ού αιώνα (Hmerologio technologias tou XX aiona) ed. Πατάκης
- 2003 - Αριστερή τρομοκρατία δημοκρατία και κράτος (Aristeri tromokratia dimokratia kai kratos) ed. Πατάκης
- 2003 - Πέντε ζωγράφοι ζητούν συγγραφέα (Pente zografoi zitoun syggrafea) ed. Πατάκης
- 2005 - Ιστορίες Απόγνωσης Contes de désespoir (Istories apognosis) ed. Athens Voice
- 2006 - Ιστορίες του σώματος (Istories tou somatos) ed. Athens Voice
- 2007 - Λος Άντζελες Los Angeles) ed. Μελάνι
Note [modifica]
- ^ http://soti.bravehost.com/bio.html
- ^ http://www.athensvoice.gr/the-paper/editors/%CF%83%CF%8E%CF%84%CE%B7-%CF%84%CF%81%CE%B9%CE%B1%CE%BD%CF%84%CE%B1%CF%86%CF%8D%CE%BB%CE%BB%CE%BF%CF%85?page=1
- ^ http://www.bookpress.gr/search?ordering=&searchphrase=all&searchword=%CF%83%CF%8E%CF%84%CE%B7+%CF%84%CF%81%CE%B9%CE%B1%CE%BD%CF%84%CE%B1%CF%86%CF%8D%CE%BB%CE%BB%CE%BF%CF%85#content
- ^ http://www.biblionet.gr/main.asp?page=results&title=&TitleSplit=1&summary=&isbn=&person=%CE%A4%CF%81%CE%B9%CE%B1%CE%BD%CF%84%CE%B1%CF%86%CF%8D%CE%BB%CE%BB%CE%BF%CF%85%2C+%CE%A3%CF%8E%CF%84%CE%B7&person_ID=495&PerKind=2&com=&com_ID=&titlesKind=&from=&untill=&subject=&subject_ID=&series=&low=&high=&OrigLang=&PagesFrom=&PagesTo=&avail_stat=
Collegamenti esterni [modifica]
mercoledì 14 marzo 2012
domenica 12 febbraio 2012
venerdì 3 febbraio 2012
domenica 29 gennaio 2012
Γιατί αγαπάμε τις γυναίκες - Mircea Cărtărescu
You are what you is! Fank Zappa
Έλαβα από το νεοσύστατο εκδοτικό οίκο Αλλότροπο αυτό το πρώτο βιβλίο στα Ελληνικά του Μιρτσέα Καρταρέσκου. Γνώριζα ήδη το όνομα του συγγραφέα, και στα ράφια της βιβλιοθήκης μου είχα σε ιταλική μετάφραση και αυτό το βιβλίο και ένα άλλο με τίτλο Νοσταλγία, για το οποίο ο Καρταρέσκου παρομοιάστηκε με τα μεγάλα ονόματα του Κάφκα και του Μπόρχες. Αλλά ακόμα δεν είχα αρχίσει να διαβάζω ούτε το ένα ούτε το άλλο. Οι βιβλιοφάγοι θα καταλάβουν και σίγουρα θα αναγνωρίσουν αμέσως τα συμπτώματα: εμείς οι παλαβοί της ανάγνωσης, οι πάσχοντες από βιβλιοφαγία μαζεύουμε βιβλία ανεξάρτητα από το πότε θα τα διαβάσουμε, η κατάλληλη στιγμή του καθενός θα έρθει, το ξέρουμε. Η έκδοση στα Ελληνικά, λοιπόν, της συλλογής "Γιατί αγαπάμε τις γυναίκες" ήταν το κίνητρο για να γνωρίσω επιτέλους αυτό τον συγγραφέα.
Είναι μια συλλογή 22 μικρών κειμένων που μοιάζουν να είναι αυτοβιογραφικά και έχουν ως επίκεντρο τη γυναίκα, ή μάλλον ως "φαινομενικό" επίκεντρο έχουν τη γυναίκα. Και προσθέτω το "φαινομενικό" γιατί νομίζω ότι οι διάφορες γυναίκες του βιβλίου δεν είναι τίποτε άλλο παρά η αφορμή του συγγραφέα για να μας μιλήσει για τον εαυτό του. Και το κάνει με ειλικρίνεια και αμεσότητα, χωρίς να διστάζει για παράδειγμα μπροστά σε θέματα που συνήθως κανείς δεν τολμά να εξομολογήσει όπως τα πιο απόκρυφα όνειρα ενός νεαρού σε πλήρη "θύελλα ορμονών", ή μια σεξουαλική αποτυχία με μια ώριμη γυναίκα.
Ο συγγραφέας μας συγκινεί με την εξιστόρηση για το μικρό Μίρτσεα που φοβήθηκε ότι στο δρόμο είχε χάσει την μάνα του: η χαρά που ένιωσε τη στιγμή που την ξαναείδε σημάδεψε τόσο βαθιά την ψυχή του που, ασυνείδητα, την συνδύασε για πάντα με την μυρωδιά της καραμέλας που η μάνα του είχε αγοράσει: αυτή η μυρωδιά για πολλά χρόνια μετά έπαιξε το ίδιο ρόλο που είχε η περίφημη ματλέν για τον Μαρσέλ Προύστ.
Συμμεριζόμαστε μαζί του τη στενοχώρια για μια κοπέλα που, παρά την διαφορά ηλικίας τον ερωτεύθηκε, ένα κορίτσι που έμοιαζε με "λούτρινο αρκουδάκι", που είχε την παράξενη συνήθεια να επαναλαμβάνει συνέχεια, ξεκάρφωτα, την έκφραση "με την ουρά στα σκέλια" που ήταν και η τελευταία φράση που ο Μίρτσεα άκουσε από κείνη πριν χάσει κάθε επαφή μαζί της. Ύστερα έμαθε ότι το "λούτρινο αρκουδάκι" έκρυβε μέσα της ένα μεγάλο και βαρύ μαργαριτάρι που την έτρωγε όπως στον "άνθρωπο με το λουλούδι στο στόμα" του Λουίτσι Πιραντέλλο.
Γελάμε κι λίγο μαζί του και με την απογοήτευσή του όταν ένα χαζό ψυχολογικό τεστ τον κατατάσσει ως "κομφορμιστή" με ιδανικό επάγγελμα το "λογιστή".
Από αυτές και από όλες τις άλλες ιστορίες του βιβλίου, αναδύεται μπροστά μου ένας άνθρωπος με όλες τις διάφορες πτυχές που αποτελούν την προσωπικότητά του.
Και καταλαβαίνω και συμφωνώ απολύτως μαζί του όταν μας λέει ότι "δεν είμαστε αντικείμενα, αλλά διαδικασίες".
Νομίζω ότι το τελικό συμπέρασμα που βγάζω από αυτό το βιβλίο συνοψίζεται τέλεια με τις τελευταίες προτάσεις του διηγήματος "Ποιος είμαι εγώ" όπου διαβάζουμε:
"Εγώ είμαι, τελικά, η αναζήτηση του εαυτού μου. Υπάρχω επειδή ψάχνω τον ίδιο μου τον εαυτό. Δεν με ψάχνω για να με βρω: το γεγονός ότι ψάχνω τον ίδιο μου τον εαυτό μου είναι σημάδι ότι ήδη με βρήκα"
Και έτσι, ναι, τώρα ξέρω τον Μιρτσέα Καρταρέσκου, τον νιώθω φίλο μου σχεδόν, και δεν εκπλήσσομαι πια για το πώς μπόρεσε μια άγνωστη ξεναγός, που ο Καρταρέσκου συνάντησε εντελώς τυχαία σε ένα μουσείο στην Ιταλία, να τον κοιτάξει μέσα στα μάτια και να τον φωνάξει με το όνομά του: σίγουρα κι εκείνη η ξεναγός θα είχε διαβάσει τα βιβλία του Μίρτσεα! :-)
Έλαβα από το νεοσύστατο εκδοτικό οίκο Αλλότροπο αυτό το πρώτο βιβλίο στα Ελληνικά του Μιρτσέα Καρταρέσκου. Γνώριζα ήδη το όνομα του συγγραφέα, και στα ράφια της βιβλιοθήκης μου είχα σε ιταλική μετάφραση και αυτό το βιβλίο και ένα άλλο με τίτλο Νοσταλγία, για το οποίο ο Καρταρέσκου παρομοιάστηκε με τα μεγάλα ονόματα του Κάφκα και του Μπόρχες. Αλλά ακόμα δεν είχα αρχίσει να διαβάζω ούτε το ένα ούτε το άλλο. Οι βιβλιοφάγοι θα καταλάβουν και σίγουρα θα αναγνωρίσουν αμέσως τα συμπτώματα: εμείς οι παλαβοί της ανάγνωσης, οι πάσχοντες από βιβλιοφαγία μαζεύουμε βιβλία ανεξάρτητα από το πότε θα τα διαβάσουμε, η κατάλληλη στιγμή του καθενός θα έρθει, το ξέρουμε. Η έκδοση στα Ελληνικά, λοιπόν, της συλλογής "Γιατί αγαπάμε τις γυναίκες" ήταν το κίνητρο για να γνωρίσω επιτέλους αυτό τον συγγραφέα.
Είναι μια συλλογή 22 μικρών κειμένων που μοιάζουν να είναι αυτοβιογραφικά και έχουν ως επίκεντρο τη γυναίκα, ή μάλλον ως "φαινομενικό" επίκεντρο έχουν τη γυναίκα. Και προσθέτω το "φαινομενικό" γιατί νομίζω ότι οι διάφορες γυναίκες του βιβλίου δεν είναι τίποτε άλλο παρά η αφορμή του συγγραφέα για να μας μιλήσει για τον εαυτό του. Και το κάνει με ειλικρίνεια και αμεσότητα, χωρίς να διστάζει για παράδειγμα μπροστά σε θέματα που συνήθως κανείς δεν τολμά να εξομολογήσει όπως τα πιο απόκρυφα όνειρα ενός νεαρού σε πλήρη "θύελλα ορμονών", ή μια σεξουαλική αποτυχία με μια ώριμη γυναίκα.
Ο συγγραφέας μας συγκινεί με την εξιστόρηση για το μικρό Μίρτσεα που φοβήθηκε ότι στο δρόμο είχε χάσει την μάνα του: η χαρά που ένιωσε τη στιγμή που την ξαναείδε σημάδεψε τόσο βαθιά την ψυχή του που, ασυνείδητα, την συνδύασε για πάντα με την μυρωδιά της καραμέλας που η μάνα του είχε αγοράσει: αυτή η μυρωδιά για πολλά χρόνια μετά έπαιξε το ίδιο ρόλο που είχε η περίφημη ματλέν για τον Μαρσέλ Προύστ.
Συμμεριζόμαστε μαζί του τη στενοχώρια για μια κοπέλα που, παρά την διαφορά ηλικίας τον ερωτεύθηκε, ένα κορίτσι που έμοιαζε με "λούτρινο αρκουδάκι", που είχε την παράξενη συνήθεια να επαναλαμβάνει συνέχεια, ξεκάρφωτα, την έκφραση "με την ουρά στα σκέλια" που ήταν και η τελευταία φράση που ο Μίρτσεα άκουσε από κείνη πριν χάσει κάθε επαφή μαζί της. Ύστερα έμαθε ότι το "λούτρινο αρκουδάκι" έκρυβε μέσα της ένα μεγάλο και βαρύ μαργαριτάρι που την έτρωγε όπως στον "άνθρωπο με το λουλούδι στο στόμα" του Λουίτσι Πιραντέλλο.
Γελάμε κι λίγο μαζί του και με την απογοήτευσή του όταν ένα χαζό ψυχολογικό τεστ τον κατατάσσει ως "κομφορμιστή" με ιδανικό επάγγελμα το "λογιστή".
Από αυτές και από όλες τις άλλες ιστορίες του βιβλίου, αναδύεται μπροστά μου ένας άνθρωπος με όλες τις διάφορες πτυχές που αποτελούν την προσωπικότητά του.
Και καταλαβαίνω και συμφωνώ απολύτως μαζί του όταν μας λέει ότι "δεν είμαστε αντικείμενα, αλλά διαδικασίες".
Νομίζω ότι το τελικό συμπέρασμα που βγάζω από αυτό το βιβλίο συνοψίζεται τέλεια με τις τελευταίες προτάσεις του διηγήματος "Ποιος είμαι εγώ" όπου διαβάζουμε:

Και έτσι, ναι, τώρα ξέρω τον Μιρτσέα Καρταρέσκου, τον νιώθω φίλο μου σχεδόν, και δεν εκπλήσσομαι πια για το πώς μπόρεσε μια άγνωστη ξεναγός, που ο Καρταρέσκου συνάντησε εντελώς τυχαία σε ένα μουσείο στην Ιταλία, να τον κοιτάξει μέσα στα μάτια και να τον φωνάξει με το όνομά του: σίγουρα κι εκείνη η ξεναγός θα είχε διαβάσει τα βιβλία του Μίρτσεα! :-)
domenica 8 gennaio 2012
Σώτη για πάντα
Γιατί μου αρέσει η Σώτη; Καλή ερώτηση! Στην οποία δεν ξέρω να δώσω απάντηση.
Την ανακάλυψα πριν κάποια χρόνια με ένα κείμενό της στο διαδίκτυο: Το καπνιστικό γονίδιο.
Το έχω αυτό το γονίδιο και ξεκαρδίστηκα διαβάζοντας αυτό το άρθρο και αμέσως αναγνώρισα τον εαυτό μου μέσα στις φιγούρες που η Σώτη εικονογραφεί.
Από τότε άρχισα να ψάχνω άλλες δουλείες της, βρήκα πρώτα στο διαδίκτυο το διήγημα «Ο αρραβώνας της Μπέμπας» που περιλαμβάνεται στην συλλογή διηγημάτων των εκδόσεωνAthens voice 4 ιστορίες της πόλης και μετά βρήκα την καταπληκτική σελίδα που ο Λάκης Φουρουκλάς της αφιερώνει και την επισκεπτόμουνα τακτικά. Έτσι σιγά σιγά έχω «περάσει» σχεδόν όλα τα μυθιστορήματα και διηγήματα της: Θάνατος το πρωί, Αύριο μια άλλη χώρα, Συγχώρεση, Κινέζικα κουτιά, η Φυγή, Σάββατο βράδυ στην άκρη της πόλης, Λίγο από το αίμα σου, … και πολλά άλλα.
Υπάρχουνε κάποια κοινά μοτίβα στην γραφή της Σώτης, η ειρωνεία είναι σίγουρα το πιο εμφανές, το πρώτο που διαπιστώνω:
…ήταν τιμή να σου κόψουν το κεφάλι πάνω στο δροσερό αγγλικό χορτάρι. (σελ. 10)
… κοντολογίς, την εποχή της Μεταρρύθμισης, η Αγγλία ήταν εξαιρετικά επικίνδυνο μέρος για να ζεις. (σελ. 14)
Μέσα σ’ αυτό το ανθυγεινό περιβάλλον, γεννήθηκε η Ιωάννα Γκρέυ. (σελ. 15)
Θάνατος το ξημέρωμα
Αυτή η ειρωνεία όμως έχει το σκοπό της: το χαμόγελο που σου ξεφεύγει με τις περιγραφές της σε βάζει σε σκέψη, και φέρνει ενδεχομένως καλύτερο αποτέλεσμα από αυτό που η συγγραφέας θα προσδοκούσε εάν χρησιμοποιούσε ένα πιο «σοβαροφανές» ύφος.
Ένα δεύτερο στοιχείο που αγαπώ πολύ στην Σώτη είναι η ευαισθησία που διαφαίνεται στα γραπτά της. Ευαισθησία που εκδηλώνει κυρίως προς τις αδύναμες ομάδες της κοινωνίας μας: τα παιδιά, τη νεολαία, τους αδικημένους της ζωής. Η ευαισθησία για την οποία μιλάω δεν είναι όμως αδυναμία. Πρόκειται για κάποιο είδος συμ-πάθειας που την κάνει να υποφέρει πραγματικά για τους καημούς των άλλων και να νιώθει στο πετσί της τα προβλήματά τους. Από αυτή τη ευαισθησία της πηγάζει και η έντονη αντίδρασή της μπροστά στην αδικία:
Βρισκόμουν σε έξαλλη κατάσταση και σκεφτόμουν σοβαρά να γραφτώ στη Νομική, να γίνω δικηγόρος. (σελ. 64)
Μου ερχόταν να ουρλιάξω. Όχι, στην πραγματικότητα, μου ερχόταν να βάλω βόμβα στην αίθουσα. … Τον Ναπ στην ηλεκτρική καρέκλα, τον έστειλε ένας δικαστής … για χάρη του οποίου θα μπορούσα να προσχωρήσω σε τρομοκρατική οργάνωση… ο δικαστής κάνει κομάντο, δηλαδή, ό,τι του καπνίζσει. Αν έχει ξυπνήσει στραβά το πρωί σε στέλνει στην Καρέκλα… (σελ. 67-68)
Θάνατος το ξημέρωμα
Η πλήρης συμπαράστασή της προς τους αδύναμους, τους ανυπεράσπιστους, είναι φανερή και από το βιβλίο «Αύριο μια άλλη χώρα», όπου μας παρουσιάζει μια προβληματική οικογένεια σε περίοδο δύσκολων καιρών: την αρχή της δικτατορίας της Χούντας. Εδώ η ιστορία παραδίδεται κυρίως στα δυο παιδιά που, άθελά τους, βρίσκονται μπλεγμένα σε μια οικογενειακή, πολιτική, ιστορική δίνη που τους στερεί το αναφαίρετο δικαίωμα σε όνειρα και ιδανικά.
Θα μπορούσα να πω ότι η Σώτη ανήκει στη ολιγομελή εκλεκτή κατηγορία ανθρώπων που δεν εθελοτυφλούν, που δεν αφήνουν τις προκαταλήψεις και τις ψευδο-μίκρο-ευπρέπειες να επηρεάσουν την ικανότητα της κρίσης τους.
se tu penserai, se giudicherai da buon borghese
li condannerai a cinquemila anni più le spese,
ma se capirai, se li cercherai fino in fondo
se non sono gigli son pur sempre figli
vittime di questo mondo.
La città vecchia – Fabrizio de Andrè
εάν θα σκεφτείς και θα κρίνεις με το μάτι του καλού αστού, θα τους καταδικάσεις σε πέντε χιλιάδες χρόνια φυλάκισης και στην πληρωμή των δικαστικών εξόδων, αλλά εάν δείχνεις κατανόηση, εάν προσπαθείς να βρεις την αληθινή ψυχή τους, θα δεις ότι παρόλο που δεν είναι κρίνοι αθωότητας, είναι ωστόσο άνθρωποι και θύματα αυτού του κόσμου.
«Η παλιά πόλη» - Φαμπρίτζιο Ντε Αντρέ.
Η βαθιά κατανόηση στην οποία αναφέρεται ο εξαίρετος ποιητής-τραγουδοποιός Fabrizio de André, απαλλαγμένη από προκατασκευασμένους τρόπους προσέγγισης, είναι αυτή που η Αντωνία νιώθει προς τον δολοφόνο της δεκάχρονης κορούλας της. Η Αντωνία λέει ότι καταφέρνει να ξεχωρίζει το κτήνος από τον άνθρωπο και φτάνει στην μεγαλόκαρδη και δύσκολη απόφαση να συγχωρέσει το κτήνος για να σώζει τον άνθρωπο.
Επανέλαβα από μέσα μου «Αν πεθάνει το κτήνος, θα πεθάνει κι ο άνθρωπος» (σελ. 92).
Δεν είχα υποκριθεί, δεν είχα κάνει καμιά προσπάθεια: απλώς, είχα συγχωρέσει τον Λουκάς Κλίφτον. Δεν είχα μπορέσει να ξεχάσω, είχα μπορέσει όμως να τον συγχωρέσω, και συγχωρώντας τον, ένιωθα πως δεν τον περιφρονούσα καν, και πως, αν ένιωθα κάτι γι’ αυτόν, ήταν λύπη. (σελ. 105)
Συγχώρεση
Επειδή
η ζωή είναι μια κλωτσιά στο κεφάλι, (και) ο καθένας προστατεύεται όπως μπορεί (σελ. 183)
Λίγο από το αίμα σου
εάν δεν αλληλοβοηθιόμαστε σε αυτό τον κόσμο, τι μας μένει; Τι μας κάνει να ξεχωριστούμε από τα κτήνη που θεωρούμε κατώτερά μας; Βέβαια έτσι όπως είμαστε, ο καθένας ζει μοναχός και αβοήθητος τη ζωή του. Λέμε ωραία λόγια για την αλληλεγγύη, και την στήριξη του ενός προς τον άλλον, αλλά η αλήθεια είναι ότι είμαστε μοναχικές οντότητες που περιστρεφόμαστε γύρω από το έγω μας. Ο Malone μας το αποδεικνύει, ένας ιδιωτικός πράκτορας που τάχα ερευνά για κάποιες δολοφονίες στην Τσάιναταουν, ουσιαστικά όμως περιφέρεται ολομόναχος στους δρόμους της πολύβουης συνοικίας. Τα «Κινέζικα κουτιά» δεν είναι ένα αστυνομικό μυθιστόρημα όπως θα μπορούσε να σκεφτεί κανείς. Υπάρχουν μεν όλα τα σωστά συστατικά του αμερικάνικου νουάρ, αλλά θα έλεγα ότι πρόκειται για δοκίμιο περί μοναξιάς.
Η Σώτη δεν μας αφηγείται μυθοπλασμένες ιστορίες, δεν μας μιλάει για φαντάσματα, για μεταφυσικά φαινόμενα ή υπερφυσικά όντα, δεν διηγείται τίποτα σχετικά με τα πολυσυζητημένα θέματα της καταστροφής της Σμύρνης και της ανταλλαγής των πληθυσμών. Μας μιλάει για τον σημερινό εαυτό μας, για την πραγματική ζωή και τα αληθινά προβλήματά της. Δίνοντας έτσι ένα ιερό σκοπό στη γραφή της: να αφυπνίσει τα κοιμισμένα μυαλά μας, να ξαναζωντανέψει την ικανότητα αυτόνομης σκέψης. Εξάλλου, ποιος ο ρόλος του διανοούμενου εάν όχι αυτός;
Διαβάζονται, και κυρίως γράφονται πολλά βιβλία, τα πιο πολλά από αυτά όμως δεν κάνουν τίποτα παραπάνω από το να μας χαϊδεύουν και να μας κολακεύουν πάντα με τις ίδιες διαμορφωμένες-προκατασκευασμένες αντιλήψεις, κυνηγώντας μάλλον τις πρώτες θέσεις στις λίστες των ευπώλητων.
Αντιθέτως, η γραφή της Σώτης φαίνεται να είναι αυτό που βάζει τον Eugene Stamps να μας πει: (σελ. 344)
- Γιατί γράφετε;
- Επειδή είμαι θυμωμένος.
Να! Το βρήκα επιτέλους τι μου αρέσει στα βιβλία της Σώτης: και είναι πάλι ο Εugene που με βοηθάει να το καταλάβω, όταν λέει ότι αν θα προσευχόταν για κάτι θα ήταν (σελ. 145)
να μη γίνει ποτέ άνθρωπος χωρίς ερωτηματικά, τα ερωτηματικά τον έκαναν αυτό που ήταν.
Λίγο από το αίμα σου
Άρα η πολύπλευρη, η πολυσπουδαγμένη, η κοσμογυρισμένη, η πολύγλωσση γυναίκα, καθηγήτρια πανεπιστημίου, συγγραφέας,opinionist, μεταφράστρια και πολλά άλλα, είναι ένας απλός άνθρωπος που δεν σταματά ποτέ να θέτει ερωτήματα στον εαυτό της.
Είναι από τους λίγους που έχει πράγματι κάτι να μας πει. Ας την ακούσουμε, λοιπόν!
Και περιμένουμε με λαχτάρα το τελευταίο βιβλίο της «Ο χρόνος πάλι» ISBN 978-960-16-3410-4 που σύντομα θα εκδοθεί από τις εκδόσεις Πατάκη στη σειρά υπό την διεύθυνση του Μισέλ Φάις «Η κουζίνα του συγγραφέα».
giuseppina
Μα, ναι, ναι, δεν είμαστε έκπτωτοι άγγελοι, είμαστε απόγονοι πρωτόγονων ζώων, μην περιμένετε πολλά από μας (29 ιστορίες απόγνωσης, σελ. 75)
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